Non di rado i musicisti assumono il ruolo di insegnanti e non meno di rado scelgono di effettuare queste attività in seno a una scuola di musica. A volte, però, gli insegnanti e/o la scuola di musica possono adottare, per evitare una certa imposizione fiscale, dei benefici di legge che a ben vedere non sono del tutto invocabili. Scopo di queste righe è di fornire una panoramica di massima circa aspetti che consigliamo sempre di trattare con un commercialista specializzato, il quale potrà consigliarvi al meglio come gestire la vostra attività. Come vedremo, alcune strade per ammortizzare i costi, trarne benefici e lavorare nella legalità esistono. Oltretutto, si consideri che le leggi tributarie prevedono una corresponsabilità di tutti i soggetti coinvolti, che siano i soggetti passivi d’imposta che altri come responsabili o sostituti d’imposta (vedi in merito il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), per cui è nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti: un domani che ad es. una scuola si ritrovi sanzionata fiscalmente, l’insegnante che ha partecipato all’illecito avendone cognizione (o che ne avrebbe dovuto avere cognizione con una media diligenza) risponderà anch’egli delle sanzioni. La sua responsabilità è assolutamente indubitabile, ovviamente, qualora abbia evaso fiscalmente norme su imposte a suo carico.
Un insegnante può anche dare lezioni private, in proprio, tuttavia dovrà rilasciare agli allievi ricevuta con ritenuta d’acconto al 20%, salvo che non superi i 5.000 euro l’anno di redditi da lavoro autonomo, per cui dovrà dotarsi di partita IVA con relativi costi e rilasciare fattura (ove l’allievo si potrà trovare un ricarico del costo delle lezioni maggiorato d’IVA – ricordiamo che l’IVA per prestazioni di insegnamento è pari al 20%, tranne che in casi di docenza a minori e pensionati per cui vige l’aliquota ridotta al 4%, sempre che l’attività venga prestata entro un’associazione o cooperativa).
Inoltre da un punto di vista previdenziale dovrà iscriversi alla Gestione Separata INPS, obbligatoria per le attività didattiche prestate in forma individuale, con la ritenuta attualmente prevista per tale cassa di previdenza (25,72%, ridotta al 17% qualora si versino contributi contemporaneamente in un’altra cassa pensionistica, come ad es. l’Enpals – la rivalsa sul cliente potrà essere solo del 4%).
Tutto questo tralasciando aspetti niente affatto marginali, come la gestione dei locali ove fare lezione, la messa in sicurezza degli stessi locali, oneri amministrativi vari, spese di ogni tipo, ecc.
Per risolvere così tante questioni e affrontarne i costi in maniera abbordabile, nulla di più frequente che trovare o aprire una scuola di musica che se li sobbarchi al proprio posto, ovviamente in cambio di una percentuale o di una somma a forfait sui corrispettivi versati dagli allievi. Di norma, la scuola di musica è una persona giuridica, spesso in forma di associazione culturale non riconosciuta, per evitare il più possibile costi e oneri fiscali. Come abbiamo più volte ribadito su queste colonne, la forma associativa rischia di sconfinare nell’illecito, posto che l’associazione dovrebbe sempre rispettare dei caratteri di democraticità, di attività commerciale non prevalente, nonché di scopo idealistico tali per cui eventuali profitti non vengano destinati al lucro. Sarebbe più consono adottare una diversa forma giuridica, come ad es. quella di una cooperativa, certo con costi maggiori.
Detto questo, successiva questione è quella dell’inquadramento giuslavoristico: nella prassi riscontriamo l’impiego come collaborazione occasionale di lavoro autonomo, il che comporta, da parte dell’insegnante, emissione di ricevuta con ritenuta d’acconto al 20% (quindi nel caso in cui sia privo di partita IVA). Un rapporto di lavoro autonomo, svolto occasionalmente a favore di terzi, è ammesso dal nostro ordinamento (vedi artt. 2222 e ss., 2229 e ss. c.c.), però entro determinati limiti. Anzitutto, deve esservi “occasionalità”, intesa come non continuatività né abituale. Inoltre, dal punto di vista fiscale, il docente potrà cavarsela con ricevute in ritenuta d’acconto solo entro i “noti” 5.000 euro di soglia l’anno.
Molto frequentemente capita che la scuola giustifichi parte di quanto corrisponde all’insegnante a titolo di rimborso spese, così da evitarne il calcolo entro i 5.000 euro detti prima e la tassazione. Purtroppo questa possibilità diventa sovente uno stratagemma per “occultare” i reali compensi, a fronte di spese inesistenti nella realtà, men che meno documentate.
Da ultimo si consideri che la collaborazione occasionale potrà essere fatta valere per un periodo di tempo limitato, oltre il quale – caduta l’“occasionalità” – o si adotta un contratto di lavoro diverso (ad es. collaborazione coordinata e continuativa a progetto, lavoratore intermittente, ecc.) oppure il lavoratore deve aprire una partita IVA per esercitare una libera attività autonoma (prestazione professionale). Entrambe le opzioni comportano, com’è noto, notevoli costi, oneri burocratici ed amministrativi (si pensi ad es. alla compilazione della busta paga, ai relativi versamenti, al commercialista, ecc.).
Una delle criticità maggiori è senz’altro l’IVA: difatti il possesso di una partita IVA permette di scaricare l’IVA delle fatture ricevute ed emesse, in una serie di rapporti di credito (IVA della fatture ricevute) e debito (IVA delle fatture emesse) di fronte allo Stato. In tal caso, l’IVA non è un costo perché viene sempre scaricata. A differenza di chi invece la partita IVA non ce l’ha e che riceve fatture maggiorate di un’IVA che non può scaricare: diviene una maggiorazione di costi.
Detto ciò, molte scuole cercano di ottenere benefici ricorrendo ad un altro strumento fornito dalla legge, che possiamo identificare negli artt. 67 e 69 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sul Reddito – D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). Che cosa offrono questi articoli al contribuente? Per capirlo, partiamo dal testo di legge: all’art. 67, lett. m), il testo di legge recita che: “[Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:] le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.
Combiniamo questo articolo con l’art. 69, comma 2, del seguente tenore: “le indennità i rimborsi forfettari, i premi e i compensi di cui alla lettera m) del comma 1 dell’articolo 67 non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a 7.500 euro. Non concorrono, altresì a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale”.
Ebbene, la lettura combinata di questi articoli non potrà mai permettere al contribuente di applicare il particolare regime di favore a casi diversi da quelli considerati. La legge tributaria in parola è tassativa, non applicabile analogicamente.
In sostanza, solamente chi sia direttore artistico o collaboratore tecnico per cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche potrà invocare il beneficio di legge, pensato proprio per agevolare attività marginali non professionali. Un beneficio che prevede effetti ben precisi: 1) i redditi nelle attività in parola (lett. m) art. 67 TUIR) si potranno considerare fiscalmente come redditi diversi; 2) non concorreranno a costituire reddito i rimborsi spese documentati (quindi con “pezze” giustificative valide ai fini probatori, come scontrini, ricevute, fatture, ecc.) per vitto, alloggio, viaggio e trasporto collegate alle attività svolte fuori dal proprio Comune di residenza; 3) quanto previsto alla lett. m) dell’art. 67 citato non concorrerà a formare il reddito fino a 7.500 euro; 4) fino a 20.658,28 euro il committente dovrà operare una ritenuta a titolo di imposta pari al 23% (pari al primo scaglione IRPEF), mentre la parte eccedente sarà oggetto di ritenuta a titolo di acconto con la solita aliquota al 20%. Tale ultimo motivo spiega perché i redditi sotto la soglia non vadano denunciati dai lavoratori nella dichiarazione dei redditi: in questa confluiscono i redditi da tassare, in tutto o in parte. Se si tratta di ritenuta d’acconto, come dice lo stesso termine “acconto”, è da considerarsi solo un anticipo parziale, da conguagliare in sede di dichiarazione dei redditi annuale. Invece la cd. ritenuta a titolo d’imposta è definitiva, cioè si versa già in ritenuta l’intero importo del tributo e dunque non v’è necessità di segnalare il reddito in dichiarazione annuale.
Mai e poi mai si potrà invocare questo regime di favore qualora si tratti di un rapporto di lavoro subordinato o qualora si tratti di professione abitualmente svolta. Si specifica inoltre che il committente, che eroga i compensi in discussione, deve necessariamente essere un ente con scopo di svolgimento di attività artistica o musicale a carattere dilettantistico, nel cui alveo verranno rese le prestazioni.
Ci permettiamo, al termine di tale disamina, di suggerire che il ricorso a forme come quelle cooperativistiche può consentire di fare le cose in regola anche nel trattamento fiscale e giuslavoristico degli insegnanti. Difatti, se l’insegnante è iscritto ad una cooperativa di spettacolo e tale cooperativa emette fattura nei confronti della scuola (o dell’allievo) per la docenza prestata dall’insegnante, si ottiene l’ottimo risultato per cui: 1) la scuola non deve assumere l’insegnante o costituire un costoso e oneroso rapporto di lavoro, in quanto l’insegnante diviene, di fatto, un “servizio” prestato dalla cooperativa; 2) se la scuola ha la partita IVA, può scaricare l’IVA delle fatture, che dunque non risulta essere un costo – ciò ovviamente non potrà valere nei confronti di un rapporto diretto con l’allievo, il quale non potrà scaricare l’IVA che maggiora il suo corrispettivo; 3) l’insegnante non deve aprire la partita IVA, poiché viene utilizzata quella della cooperativa; 4) all’insegnante – tramite la cooperativa – saranno versati i contributi previdenziali Enpals, in quanto attività didattica prestata nell’ambito di una cooperativa di attività prevalente nello spettacolo, così da fare corpo unico con gli altri contributi che realisticamente un insegnante di musica può maturare in Enpals (come ad es. per l’attività live, i turni in studio, ecc.) – a tale proposito la Cassazione ha riconosciuto (ad es. sentenze nn. 288/2008 e 20886/2007) il principio di unicità della contribuzione nella cassa di attività prevalente del datore di lavoro, onde per cui se l’attività prevalente è di spettacolo, allora la contribuzione rientrerà nei criteri contributivi dello spettacolo; 5) l’insegnante potrà ricevere, se la cooperativa sa sfruttare i meccanismi di legge, un trattamento assicurativo pari a quello di un dipendente, avendo contributi a titolo di INAIL, INPS (maternità, disoccupazione, malattia), Enpals, IRPEF, ecc.; 6) la scuola non dovrà pagare l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive, pari attualmente al 3,9%), la quale viene invece a ricadere sui versamenti effettuati dalla cooperativa; 7) come già accennato, per attività didattiche a favore di minorenni, inabili tossicodipendenti, malati di Aids, handicappati psicofisici, per i quali verrà applicata L’IVA ridotta al 4% (ex n. 41-bis, tabella A, parte Seconda del D.P.R. del 26 ottobre 1972 n. 633 nonchè comma 467, art. 1 Legge 30 dicembre 2004, n. 311), equivalente quasi all’aliquota IRAP; tale aliquota di favore non è applicabile dalla scuola o dagli insegnanti in caso di attività didattiche svolte fuori dalla cooperativa; 8) rimarcando quanto già scritto in precedenti interventi di questa rubrica, il docente è facilitato nel raggiungere l’ammontare di giornate pensionistiche se la cooperativa sfrutta i minimali di contribuzione Enpals per far figurare giornate di prova, oltre a quelle di docenza; 9) il docente, se la cooperativa ne effettua i relativi versamenti per i contributi minori INPS, potrà maturare i requisiti per richiedere indennità di disoccupazione, maternità, malattia; 10) il docente riceve contribuzioni previdenziali in un’unica cassa, cioè l’Enpals, in cui far confluire attività didattiche, prestazioni di spettacolo dal vivo e in studio, attività di composizione su commissione, ecc.; qualora il docente svolgesse attività didattiche fuori dalla cooperativa, sarebbe soggetto invece alla contribuzione in INPS Gestione Separata, frammentando la propria pensione parte in Enpals e parte nella cassa separata INPS (con requisiti pensionistici minimi difficili da raggiungere e un fondo pensione attualmente non totalizzabile né ricongiungibile con altri); 11) infine la cooperativa può consentire di abbattere l’imponibile fiscale del docente, deducendo spese strumentali altrimenti appannaggio dei lavoratori autonomi: costi documentati di trasferta (viaggio, vitto, alloggio), fatture di acquisto e per servizi connessi all’attività (ad es. acquisto strumenti, libri, spartiti, cd, noleggio attrezzature, ecc.) – sui quali l’insegnante potrà anche recuperare l’IVA – oltre che indennità forfettarie (come quella di trasferta, chilometriche, ecc.); l’insieme consente di ridurre assai la pressione fiscale sull’attività di insegnamento, specialmente se sommata ad altre attività di spettacolo trattate in cooperativa.